lunedì 12 gennaio 2015

Capitolo 2| le parole delle volte non servono

Carver ha scritto che lui, le parole, lui non le tagliava semplicemente all'osso, ma al midollo, e io, sarà che son per l'essenziale, io secondo me ci sono delle situazioni che le parole non ci vorrebbero proprio. Appena è morto mio papà, ad esempio, più che il vuoto, io mi sentivo come quando si inceppa il meccanismo della vita normale, che mentre tutto va bene non ti rendi conto di quanto siano certe cose, poi invece, a non viverle più, dopo improvvisamente la loro assenza pesa come un macigno. 
Mio papà era un po' pazzo, tipo che siccome aveva la passione forte, un giorno aveva portato a casa un vecchio aereo su cui ci volava e l'aveva parcheggiato in giardino. Io dell'aereo mi ricordo: mia mamma che osserva un po' tesa l'arrivo di un tir e sviene non appena intravede l'ala (ha sempre avuto il terrore dell'aria), la gioia furbetta negli occhi di mio papà dinnanzi ai pellegrinaggi di pseudo piloti entusiasti dell'oggetto, la vergogna mia e di mio fratello ogni volta che, spiegando dove abitavamo, dovevamo confermare di non essere Maverick e Goose, ma di vivere effettivamente nella casa dell'hangar, il gatto talmente immedesimato nel barone rosso da dormire nottegiorno nell'abitacolo, la necessità di dover ancorare il mezzo non appena abbiamo capito che in caso di vento decollava in un attimo, e soprattutto, stigrancazzissimi edulcorati, la fatica di doverlo spostare tutti e quattro prima da una parte, poi dall'altra, ogni volta che c'era da tagliare l'erba (almeno una a settimana). 
Ecco, nei primi giorni di quel vuoto strano, io mi ricordo che quando qualcuno mi diceva devi essere forte e star vicino alla mamma, invece di rispondere pensavo sempre a questa situazione buffa qui, che secondo me faceva meglio.

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