venerdì 30 gennaio 2015

Terza parte| kit di sopravvivenza

Per assicurare gli standard minimi vitali (lui è morto, cazzo, è morto) nelle situazioni limite (sto mettendomi i tacchi a spillo per un funerale, porca di quella puttana te e le scarpe), gli esperti consigliano di inserire nel kit di sopravvivenza tutte quelle cose che riteniamo utili per affrontare situazioni che, normalmente, non si verificano (non riesco a respirare, non ce la faccio senza di te, come hai potuto abbandonarmi? come?), in particolare:

- forniture per il trattamento di tagli e graffi, distorsioni, mal di testa, dolori muscolari, reazioni allergiche e grandi ferite (qui ci metterei uno sticazzi vario ed eventuale)
- telo impermeabile, poncho e coperta isotermica (voglio la mia copertina, mi ci voglio nascondere dentro, voglio addormentarmi tutta testa piedi e realizzare da sveglia che è stato solo un brutto sogno)
- nastro adesivo per riparare eventuali danni o fori del telo (non ti rivedrò più, cazzo riparo?)
- cordini sottili per fissare il telo (a me sembrava che avessimo un legame indistruttibile, come ho fatto a non capire?)
- coltello a lama fissa (il coltello che ride e ferisce farà questo male atroce per sempre?)
- torcia elettrica (è tutto buio buissimo, non sono riuscita a fare abbastanza per salvarti)
- accendino piezoelettrico, acciaino ed esche per il fuoco (tanto freddo che è inutile scaldarsi, confidarmi con nessuno mai mai più, permettere a qualcuno di far affidamento su di me ancora meno)
- bussola, gps, carta e matita per riuscire ad orientarsi (come cazzo ne esco da questo incubo?)

Dicono che possiamo resistere tre minuti senza aria, tre ore senza riparo, tre giorni senza acqua, tre settimane senza cibo. Io ho perso le tre persone più importanti della mia vita in tre anni.
Per elaborare traumi o lutti così forti, le persone furbine, quelle che si vogliono bene, loro pian piano si risolvono grazie a se stesse, ma anche, e soprattutto, grazie al sostegno di psicologi esperti, seri e affidabili, io invece, siccome son più che furbissima, io per via che pensare mi faceva star troppo male, io come soluzione ho pensato di tingermi i capelli. Di nero.

mercoledì 28 gennaio 2015

3| un coltello che ride

La mia nuova casa è una mansarda sopra ai portici, che noi emiliani, noi fondamentalmente dei portici lo siamo, nel senso che sta cosa di sorreggerci ce l’abbiamo dentro, e infatti invece di ostacolarci o galleggiarci siamo per il correrci incontro, noi siam dei portici così.

Genova oggi picchiano di brutto, Palletta dice che ha trovato un altro e che è una cosa seria, Gallo è a Saint-Tropez con la morosa, la Pulce là che fissa il mare immobile, chiusa come un riccio. Io perso mi sono perso, però adesso ho iniziato la terapia ed è stranissimo rendersi conto di quanto siam delle reazioni chimiche, tipo che con le pastiglie giuste la testa si ferma e l’ombra non c’è più, allora delle volte adesso subito ora, delle volte penso che potrei pure ritrovarmi, ed è un pensare veramente bello.

Nella mia nuova casa ci ho portato le scarpe, i vinili, i libri russi, un quadro della Pulce che sembra un’esplosione e secondo me è un orgasmo, la foto in bianco e nero di quel gran figo di Steve McQueen mentre guida col guanto, il vino, un libro dell'Artusi che mi ha regalato la nonna Giorgina, il pallone, la mia chaise longue rossa e un pallet che ho verniciato di grigio, che come tavolino è perfetto. La mia nuova casa è un nido luminosissimo.

Noi d’estate la sera tutti in piazza dei leoni, si ride, si scherza, si sbevucchia, fondamentalmente non si fa mai un cazzo, ma a far tardi così stiamo sempre tutti bene, invece ieri sera è successo che stavo raccontando ai ragazzi di questo nuovo canale che si chiama la sette, dove c’è un gioco che tu da casa parli direttamente con la tv e lei ti risponde, e ti vede quello che fai, solo che siccome tutti hanno riso e mi guardavano come se fossi ubriaco, io ci son rimasto proprio male. Dopo la Pulce mi ha detto dai Frency andiamo a casa, allora mi son appoggiato con la fronte sulla sua spalla, e mentre ridevo e dicevo mo mama, ho visto che l’è scesa una lacrima, ma non mi ha mica voluto dire perchè. Questione di aculei, credo.

Noi cosa siamo? Odori? Numeri? Alambicchi rabbia e calcare? E quand'è che smettiamo di amare? Quando non ridiamo abbastanza? A volte il cuore bisognerebbe isolarselo col grasso di balena, penso, tipo quando ti vengono le domande e mica ce la fai a rispondere, e più ci pensi e più ti parli, e più ti tarli e più stai male. Perché tante persone si incrociano e poi non si piovono addosso? Perché la pioggia sa spiegarsi senza troppi giri di parole, e invece a noi ci piace così tanto lamentarci in difesa? Dove sono i portici quando servono? Comunque a parte il dubbio di avere dei giorni col sistema di propulsione assente, a parte questo direi tutto bene.

La Palletta dice che vuole rifarsi una vita col tipo nuovo, che c’è in ballo la maturità e la banchina, io non lo so, mi hanno anche detto che è meglio se per un po’ al lavoro non ci vado, non ho nemmeno poi tanta voglia neanche di andare dallo psicologo, io mi sento una scatola dell'ikea, una scatola chimica calmo agitato calmo agitato calmo agitato, allora siccome decide Frency, stavolta per me ho iniziato a modificarle un po’ come mi pare questi dosaggi, che insomma è mica vero che l’ombra è proprio sparita sparita, delle volte mi accorgo che mi trova, e mi guarda dalla finestra con occhi grandissimi.

Oggi Santa Lucia è venuta una bufera di neve incredibile, ma io non ho visto niente, ho dovuto chiudere tutto anche gli scuri perchè l’ombra mi spiava e non volevo mi trovasse, poi però a un certo punto han suonato alla porta ed era la Pulce, mi ha detto dai dai che nevica, dai andiamo che sotto la neve passa tutto, ma io secondo me lei non capisce, le ho detto ma non vedi che ci attaccano?, e poi le ho dato in mano una delle due fionde che ho comprato e ho detto difenditi, chiudi tutto e attacca, poi dal suo sguardo ho capito, troppo tardi cazzo, le ombre hanno inghiottito anche lei, allora l'ho guardata con molto molto schifo e le ho detto ma guardati, sei diventata un coltello di Mia Wallace, sei solo un coltello che ride e ferisce. Dopo è scappata via, non so se ha capito.

Va via va via va via va via va via, tanto non ti vedo, tanto non ti ascolto, vattene via, ma non ti stanchi di dire stronzate? Pioggia che centrifuga i pensieri senza ammorbidente, e poi i buchi neri, gli universi paralleli, le cavallette, i vuoti, i pieni, le inversioni, cazzo vuol dire quadrare il cerchio, io voglio le ellissi, l'analessi, la prolessi e gli incroci, io qui le ombre ci sono, mi dicono che tutto è sbagliato e io non lo so, non lo so, nascondermi dove?

Voglio scegliere io chi incontro per strada, io cazzo, tipo che c’è questa ragazza bellissima che sembra uscita da una canzone di Vecchioni, tutta dolce e mora e gusto lampone, e ieri sera siamo usciti, poi però all'improvviso l'aria da burrone e sta stronza che mi dice ti voglio salvare, ma salvare cosa, ma chi, ma cosa? Cioè non lo so, qui bisogna fare mille occhi, e poi però loro son scatole di scorpioni dappertutto, le ombre si travestono, sono cucchiai che a seconda della distanza vedi l'immagine rovesciata, e io non so quanto resisto, io in questo mondo di merda non lo so, non lo so.

Natale, siamo tutti a casa del Gallo e la Pulce, noi e le ombre, ci sono tutte ste stronze, chiedo alle amiche della Pulce se son fidanzate, a tutte una per una, ma le risposte non le sento neanche, le ombre urlano, divorano, mi sgridano, mi trascinano dentro il buco e mi risucchiano, ho caldo, non respiro, non le voglio più le scarpe, niente camicia, e lo so Pulce, lo so che fa freddo e le tue cazzo di amiche fighette si suggestionano, ma lasciatemi in pace e tenetevi le ombre, via via basta, cazzo, siete occhi quanto il buio, come fate a non vederle? 

Primavera, troppa luce in mansarda, voglio scappare e andare dove nessuno può trovarmi, voglio i campi neri, ma non come quando da piccolo scappi di casa per gioco, loro sono dentro la mia testa, stanno vincendo cazzo, e io sono stanco, stanco, stanco che non voglio più vedere nessuno, non ce la faccio più. Più.

Maggio, fucile, telefono che suona, no che non rispondo, no che non vengo alla vostra cazzo di grigliata, io non ho più amici, dimenticatemi, non vi conosco, non ho niente solo ombre, io nessuno mi vuole più bene, nessuno. Tutto chiaro zero dubbi. Allora sai cosa? Allora adesso mi tolgo le scarpe, ci arrotolo dentro i pensieri, e la faccio finita.

lunedì 26 gennaio 2015

spesa ignorante

C’ho la sensazione fagiana ma carina oggi, tipo che lo so che è presto, lo so che ancora e come sempre son persa (cercando un posto che non sappiamo neanche che posto è, dove forse ma dico forse ci stanno i due stronzi, citazione speziata), però secondo me si annusa già un po’ di primavera, e allora siccome poi, allora volevo dire tanta roba e cioè: aragosta, ananas, lampone, limone, fagiano (piume), pesce palla, truciolo, magnum (da non confondere con la blue steel), haribo, citrosodina, robocop, caffè, senso del collo, vino, bagnoschiuma, maialini disegnati, lupara, mani (una?), pirlaggine sparsa ed eventuale, candele, doppi sensi, mare, brividi, gola, riccioli e cartonato. E poi arancione, magenta e blu, tantissimo blu.
La calma, la fretta, gli occhi grandi e la pelle sottile, scrivere e raccontare i macigni e poi i passi, la nebbia, il parco e il sorriso palesemente altrove, tutto così in ordine sparso che non ci si capisce niente, o forse tutto. Che io per me cherol, epperò anche pulce, scimmia, peste, musghin, cheriuz, la piccola, am, padronz e cate (con la a), ma adesso mia, mi pare proprio di capire decisamente mia.

(sicuramente mi sarò dimenticata qualcosa, ma vabbè)

Sub | l'aragosta non ha le chele

Sub | l'aragosta non ha le chele (Makkox, Coreingrapho)

domenica 25 gennaio 2015

2| mondi di plastica

Pulce ti ho portato il latte in polvere, pulcino però va bene che sa di vaniglia, ok il morosetto sbagliato di turno, ma è un beverone per bambini di tre anni e ne consumi più te dei miei clienti, non ti farebbe meglio un bel brancamenta in bicchiere grande con ghiaccio? Poi ragazzi dai, Palletta non mi ha neanche per la cippa, però visto come nevica?, sbrighiamoci, che le serate da fuoristrada ormai sono più rare della coda di rondine, dai dai sotto la neve che passa tutto.

Io al momento vivo dai miei, dalle nonne, dagli zii, da qualche fighetta non abitudinaria, dalla Palletta delle volte quando facciamo pace, dalla Palletta delle volte quando la pace non la facciamo, in montagna di fianco al Gallo e la Pulce, in città sempre di fianco al Gallo e la Pulce. Mica facile lo stile zingaro, cioè delle volte ha i suoi pro, tipo quando qualche tipa ti cerca in caccia di rassicurazioni e tu puoi scappare, però quando capita che hai bisogno delle Edward Green e non ti ricordi dove le hai parcheggiate, quelle volte lì non son mica per niente una passeggiata.

Jai Guru Deva Om, come canzone Across The Universe, che secondo me un’altra non c’è, non può proprio esserci, poi tutte le volte mi viene in mente che John Lennon, lui una volta per farsi May Pang, lui una sera palesemente in tirella le ha detto sta attenta agli esserini verdi che si arrampicano sui vetri, poi pazzesco, si è arrampicato veramente in casa sua, e ciao esserini, secondo me han fatto una guzzata galattica che noi comuni mortali nemmeno immaginare.

Palletta ma chi? Ma non lo so chi sia sta Giulia, è venuta a cercarmi a casa di Gallo mentre eri lì? No ma sul serio, forse cercava mio fratello, oppure era un’amica della Pulce che voleva il latte in polvere, va un casino sto latte alla vaniglia, vuoi sentirlo? Vedrai tesoro mio sarà andata così, ti va di giocare agli esserini verdi?

Come film Il Laureato, che Ben, io sarò fuoricorso, ma tu bello mio all'inizio non hai carisma, parli solo per frasi fatte e non ti applichi, non ridi, sei lento, non te la meriti una colonna sonora così, che palle oh, poi però all'improvviso scatta qualcosa, e cazzo via la maschera da sub, via l'acquario, via il conformismo, via il perbenismo, via tutto, via che in un attimo anche tu sei lì a correre con lui, e vai Ben pestaci con quel Duetto, non ti fermare, urla Ben, l'avvenire del mondo non è nella plastica, mai mai cazzo, non lo sarà mai.

Pulce che c’è, che è quella faccina? Bomber? Ma in che senso devono far degli accertamenti, ma scherzi? Lui è il mio secondo papà cazzo, no. Gallo ci facciamo una partitella? Una cannetta? Dici che non è il caso? No ragazzi scusate, devo andare, ci vediamo domani, ok?

Medici, pranzo, cannetta, ronfata, oggi ho visto un’ombra che mi spiava dal finestrino, stanco io, molto stanco. Con Palletta sembra quasi che abbiamo fatto pace, forse è compassione, dice lei, da Gallo e la Pulce invece non riesco ad andarci. Sono un coglione.

Io comunque adesso una casa fissa la dovrò pure prendere, ci farò anche una stanza per le scarpe tipo museo. Poi alle finestre niente tende solo luce, ci siamo capiti.

Il punto esclamativo sarà anche ammirativo, ma oggi no, oggi uno solo col ricciolo da avvolgimento se proprio ma proprio, che i segni di interpunzione son sempre troppi, meglio parlare della forzata intromissione delle vocali tra le consonanti e del fatto che a noi ci manca il propositivo e l'imperfettivo, poi sta moda delle file di puntini che sembran delle vigne dall'alto, piantiamoli sti puntini, impariamo dai russi che per dar enfasi a una parola modifican l'ordine della frase, mica la confusione coi puntini, loro.

Medici, pranzo, cannetta, ronfata, ombra (che cazzo hai da guardare? va via), partita, guzzata (Giulia), incontrato Liliana (tacco 12 tirosissimo), frasi folli frasi da alieno, organizzare uscita.
Bomber sta male male, vacci Frency, vai da loro testa di cazzo invece di scopare, no non ci riesco, devo lavorare, devo cercar casa devo, non ci riesco.

Cannetta, colazione, lavoro, pranzo, cannetta, ombra (mi fissa con occhi sempre più grandi, mi vuole parlare, non lo so se l’ascolto, l'ascolto?), non ci son più le case bianche, qui ci vaccano, basta con ste cazzo di virgole c'è l'ombra gigante e ho l'ansia e paura e groppo alla gola e nebbia nella pancia, e devo togliermi le scarpe non respiro non posso guidare non riesco a scendere dalla macchina cazzo non riesco a fare niente aiuto.

Bomber è morto. Gallo e la Pulce io c’ero, io e Palletta per mano, io ragazzi sono una testa di cazzo, io non sono riuscito a dire niente, nemmeno un abbraccio, io sto male, l’ombra mi fissa e adesso mi parla e gli alieni fanno l’amore toccandosi con la punta delle dita e niente scarpe fottuti esserini verdi, niente scarpe mama mama mama non mi fanno respirare sto male.

Al Forte a far nottata, io e il Gallo a ridere e scherzare (quasi) come prima, come faranno a volermi bene non capisco, comunque quasi sereno a respirare di pancia, poi all'improvviso mi sono accorto che c’era anche l’ombra con noi e mi fissava e mi ha detto dai dai dai e io non ce l’ho fatta a non darci retta e le ho detto ok guida tu e ho aperto il finestrino e le ho lanciato fuori il biglietto dell’autostrada e poi ho iniziato a urlare e urlare che secondo me se stavo zitto al casello capivano di più. Dopo mi son perso come sempre.

Il mondo è di plastica. Mi ha detto mio fratello che si è ammalata anche la loro mamma. L’ombra però dice che col pensiero posso decidere tutto io, allora son andato al mare con la Palletta, Gallo e la Pulce erano in ospedale a soffrire e io ho pensato vediamo cosa provano e ho detto a Palletta facciamola finita e son sceso giù dalla banchina con la macchina e però mica riuscivo a fermarmi e siamo finiti giù giù nel mare e lei urlava e io ridevo ridevo da matti. Alla fine l’ombra ci ha tirato fuori dai finestrini e a me dopo mi veniva solo da dire Pulce passami il latte alla vaniglia, ma nessuno mi capiva.

No no no è morta, cazzo la plastica in due anni due, non è possibile. Stasera son stato a casa da loro, che domani c’è il funerale, eravamo solo noi tre che ho aspettato di nascosto che non ci fosse più nessuno, appena li ho visti mi è scappato da ridere e ho chiesto se il cane era nuovo, ma no mi ha detto la Pulce, non te lo ricordi la Bruta? ha tredici anni mi ha detto, io no che non me la ricordavo, però Pulce sei pelle e ossa, ce l’hai una birretta? Poi io l’ombra parlava e ridevo e loro mi guardavano strano e non capivano e mi è venuto da lanciare le scarpe in giardino per provare a respirare e invece ho detto ragazzi devo andare a cercar la birretta ci vediamo domani che magari organizziamo qualcosa.

Io non capisco, ho l’ombra che mi sgrida, Palletta che non mi vuole più, Gallo e la Pulce che non lo so come stanno, io però adesso ho trovato una casa e le cose cambieranno. Niente tende, ci siamo capiti.

giovedì 22 gennaio 2015

Seconda parte | la giornata tipo

La doppia fibbia è una garanzia, col jeans rovinato e la camicia azzurra una certezza, allora io siccome mia nonna Giorgina ho scoperto che tiene i soldi della pensione dentro al libro dell'Artusi, io siccome la cucina è una scienza esatta, io li ho un attimo presi che mi son comprato un paio di John Lobb da perder la testa.

Ferretti Francesco detto Frency lo zingaro, trentenne itinerante fuori corso, economia, Parma, ma certo che sono pronto Liliana a entrarti nel mondo del lavoro, cosa devo fare? che occhi Liliana che occhi che hai, Liliana il futuro, ti andrebbe di uscire stasera? 

Mi ha detto la Pulce che sta sparendo l’ululone, che è una rana qui dell’appennino che quando è innamorata ulula, io dell'ululone non ne avevo mai sentito parlare, io a tu per tu con una rana mai, ma comunque mi sento di salvarlo l'ululone, inoltre secondo me bisognerebbe tutti ulularci di più anche noi, che altrimenti ho l’impressione che ci salviamo poco. Paola ululetta mia, torna da me, ma no che non ti tradisco, ma dai tesoro facciamo pace, dopo tutti questi anni che siam stati insieme Palletta, ma no che non ci ho provato con quella del colloquio, ma secondo te, non mi ricordo neanche come si chiama (Liliana), ti andrebbe di uscire stasera? (memo: se dice di sì, che Paola è buona e lo farà, lo farà lo farà, se dice di sì ricordati, cazzaro che non sei altro, ricordati di non portarla nella griglieria, che Paola amore mio della mia vita è vegetariana, cazzaro)

Pulce tu e tuo fratello in taverna, paglia caffè commissione d’urgenza, Gallo interroga e tu assistente, devo passare statistica uno stamattina, che stasera esco con una tipa che ci ho detto al colloquio che statistica l’ho data ad occhi chiusi, epperò non datemi un voto troppo alto dai, che dirle dopo le balle piene non è carino, povera Liliana. Pulce perché mi stai interrogando con quel faccino? Pulcina te lo dico da non sorella come se, smettila con Stan Smith, tu non sei fatta per i bravi ragazzi, ti ho tirato su bene per quegli altri, anche se però l’ho incrociato stamattina Stan, e devo dire che c’aveva una doppia fibbia niente male, brava.

Io non capisco la Giorgina sta fissa per l’Artusi, almeno cucinasse, invece legge legge e basta, ma comunque il mese prossimo quasi quasi con la pensione vado solo di Church’s e uno schiacciapatate glielo prendo, che secondo me dopo la Giorgina ha piacere, adesso vediamo.

Liliana si starà bene io e te in questo ristorantino delizioso, Liliana sei uno spettacolo da perdersi fuori dentro intorno Liliana, ma no che non sono più bello di Cannavaro, ma dai che divento rosso, mama mama statistica Lilliana, abbracciamoci fino a domani io te la pace le stelle, sei la più bella cosa che mi sia mai capitata, ma dov'eri ieri, dov'eri ieri Liliana? (delle volte la retorica porta a trombate considerevoli, delle volte è bene abusarne, delle volte, le basi).

Io, a me, io quando non mi piacciono più le persone me le immagino sempre in ciabatte, il punto di non ritorno è l'infradito con la calza, che a camminare uno sembra uno zombie con gli sci.
Ma no Paola amore mio scalzo, ma no che non son uscito, tutta sera in casa al buio a pensare, troppo scosso amore mio bellissimo Palletta, tesoro, facciamo pace?

Gallo, Pulce, non ci crederete mai, ma grazie a statistica ho trovato un lavoro, praticamente devo presentare ai medici dei prodotti per neonati, li faccio scuffiare, gli parlo di latte, omogeneizzati (automobili telefoni tivvù) ed è fatta. Per festeggiare ho portato gnocco e mortazza a colazione, poi anche questi cucchiai di plastica spessa che a romperceli sulle mani secondo me son perfetti e ci divertiamo. Pronti?

Nella mia nuova casa, che adesso che lavoro la cerco, nella mia nuova casa ci voglio la vasca, la doccia e il camino. E poi il pavimento da camminare scalzo. Niente tende per carità, luce dappertutto con finestre enormi che di notte con la neve si vede tutto.

No Liliana stasera proprio non posso, ma no non è vero che non sei importante, solo che ho la partita coi ragazzi, che adesso col lavoro mi vedono meno e gli manco, domani vediamo dai, le spalle strette, ma certo che ti penso, solo che il lavoro mi stanca un po’ e devo abituarmi, dai ti chiamo io piccola Lil, ok?

Quei racconti lì dove c'è lei che una sera esce, e piove, o c'è la nebbia, o comunque è buio, e lei è spaesata e allora fuma, o guarda nel vuoto, o beve birra, rigorosamente appoggiata a un muro, e aspetta lui, e lui arriva e la bacia, quei racconti lì secondo me con la guzzata acquisterebbero molto più spessore. Paola, tesoro, usciamo che così facciamo pace e ci amiamo all'infinito?

Oggi son stato a pranzo con dei primari da uno chef firmamentato e parla parla parla, e bevi bevi bevi, dopo porca miseria un abbiocco che mi son dovuto fare una cannetta e un riposino al sole. I primari tra l’altro tutta gente di un certo spessore che per la doppia fibbia guai, però ragazzi quando attaccan a parlare con le parole in ismo oh, fan venire due maroni che sembra di essere da Mike. Nella mia casa nuova non ci voglio le tende, forse l’ho già detto.

L’altro giorno al Parco Ducale ho calciato delle foglie urlando Zico, solo che sotto c’era una merda e ho annaffiato Gallo. Son cose da professionisti che ci vuol l’allenamento, tipo la Pulce all’esame ha calciato la gamba di legno del prof perchè l’alleno bene l’alleno, invece mio fratello oggi ha centrato una bimba cinese con la biciclina, s’è fatta niente, pure la biciclina s'è quasi aggiustata, ma il fatto che non abbia ancora capito che i cinesi giran sempre in coppia, un po' mio fratello sto fatto deve ancora far dei giri di campo, secondo me.

lunedì 19 gennaio 2015

capitolo 4| dell’agitazione controllata

Mia mamma, io se penso a una cosa buffa era l’agitazione controllata, tipo che si preoccupava sempre di tutti, ma cercava di non farlo vedere, di notte ad esempio quando tornavi tardi lei stava sempre guardando un film per puro caso, poi appena capiva che stavi bene ti buttava lì un vabbè dai, lo guardo un’altra volta, adesso vado a letto, che a me faceva sempre molto ridere. La magia più grande era comunque quando da piccola mi accompagnava a scuola e riusciva contemporaneamente a guidare, fumare, prendere il Lexotan e cantare molto forte l’America senza mai, e dico mai, dar l’impressione di essere agitata. La amavo moltissimo mia mamma.
Una settimana dopo che non c’era più, che tutti mi dicevano vent’anni appena povera piccina, sei diventata grande troppo presto, fortuna che tu e tuo fratello vi volete bene e siete uniti, e poi come sei uguale a lei, a vederti mi vien da piangere, io a sentir tutte ste frasi niente lacrime, zero panico, nemmeno una goccina di ansia controllata, io non provavo più niente. Io una settimana dopo sono andata al mare e sono diventata una panchina, una panchina che ascoltava in loop i Noir Désir e guardava dall’alto fare surf. Il mare mi aiuta, il mare mi fa respirare, dai sfogati mare, mi dicevo, e invece niente, nemmeno una reazione, pari pari a numb degli U2 prima della disfatta dei limoni del PopMart tour. Genova la Diaz il pugno di cazzo di violenza alla pancia e io niente, lì sulla panchina ferma immobile.
Epperò una reazione appena si era ammalata ce l’avevo avuta. Avevo un moroso che la domenica delle palme solo quella volta all’anno lì lui voleva andare a messa, e allora mi ricordo che gli ho detto sai cosa?, vengo pure io stavolta, che mi è venuta voglia di capire, e siccome c’era un prete che confessava e io avevo la polemica da chiarimento, io mi ricordo che sono andata nel confessionale e gli ho chiesto al prete ma com’è, com’è che dopo un anno da quando si è ammalato mio papà sto perdendo pure la mamma, e quello non fa niente?, poi, dopo, siccome lui mi aveva risposto che ci sono dei misteri che noi umani non possiamo capire, io mi ricordo che gli avevo detto che quello era Blade Runner mica teologia, cazzo, poi siccome continuava con dei bla bla bla sulla bontà divina e la misericordia, dopo per essere certa che mi capisse sono entrata dentro al confessionale (sempre amata la Gertrude io) e alla fine parliamone parliamone ma parliamone cosa, cosa ne parliamo se è un mistero e non si può capire?, dopo alla fine dal nervoso ho pianto e gli ho detto che no, io non ci credevo proprio più a niente.
Quel giorno lì la rabbia ce l’ho avuta, anche un’altra volta, ma meno, con uno che sembrava tanta roba e ci facevo le domande e lui non mi cagava e allora diventava tanto niente, ma a parte che si vede che devo avere dei problemi con quelli che non mi rispondono la testa, a parte questo quella era una rabbia diversa, e dopo comunque dopo basta, dopo il mare, il surf, la panchina, dopo è diventato tutto soffitto, niente viola, niente alberi, dopo solo pareti spesse e zero musica.
La prima risata è tornata a guardare Luca e Paolo che facevano un programma che giravano l’Italia su un carro da morto, che io l’umorismo macabro l’ho sempre avuto, e mi dispiace che tutti carinissimi a starmi vicino, ma io la prima cosa buffa è stata quella, da sola, al buio sul divano. Dopo la laurea, dopo bionda, magrina, i tacchi, les folies, la moda, dopo come sei bella, il minestraio e le nottate che non facevano paura, dopo tutto morbidoso tipo maglioncino di cachemire, che buttarsi faceva paura, e il massimo immaginabile era proprio avvicinarsi il più possibile all’agitazione controllata.
L’anno dopo maggio primavera appena prima del mio compleanno, una domenica mi ricordo che la juve stava vincendo o rubando o non mi ricordo cosa uno scudetto, e appena finita la partita è suonato il telefono, mio fratello ha risposto e mi ha guardato con due occhi grandi che non mi dimenticherò mai. Frency, mi ha detto. E io allora sono morta.
(continua…)

domenica 18 gennaio 2015

capitolo 3|Scrivi, scrivi Mathias, scrivi

Prendiamo Trilogia della città di K.*, che se non l’avete letto secondo me dovreste farlo subitissimo, prendiamo Mathias, Mathias a me puoi dirlo, dimmelo Mathias, piangi la sera quando sei solo? E lo so che sei abituato a stare da solo, e lo so che non piangi mai, e lo so che Yasmine non tornerà, epperò so anche che da piccolo ridevi di più, che a casa di nonna cazzo ridevi sempre, e allora che fai Mathias quando non piangi, scrivi? Scrivi quando hai troppa pena e ti monta il dolore? Scrivi quando non vuoi parlare con nessuno? La notte, ad esempio, Mathias, che fai? Scrivi?
Io questo capitolo ho pensato che te lo scrivo a te, che faccio una fatica pazzesca a parlarne, ma sento che per andare avanti a stare meglio devo proprio, e allora a pensare di guardare il soffitto insieme mentre te lo racconto di getto, io, a me sembra la cosa non dico più facile, ma più naturale sì. 
Dopo tre mesi tre che è morto mio papà, dopo neanche cento giorni, dopo si è ammalata la mamma.
Il quadro è incompleto, si tratta di fare degli accertamenti, ma risultano delle cellule anomale, ci han detto, e io, io che i quadri li dipingerei a secchiate di colore, io che pure sui dubbi ci farei le vignette per sdrammatizzare un po’, io e i disegnini buffi, io con quelle parole lì mi son sentita letteralmente svenire. Tipo uno tzunami violentissimo che ti spazza via e tu non puoi fare niente, solo arrenderti. Niente rabbia questa volta, solo rassegnazione. A mia mamma non importava guarire, lei dal primo giorno sapeva che dove non si sa, ma comunque sarebbe tornata insieme al papà, e allora ti guardava e buttava lì un vostro padre non ci riesce proprio a star senza di me ragazzi, e te lo diceva con un sorriso che a me sembrava follia. Follia pura.
Inoperabile pure lei, l’ho dovuta supplicare di fare la chemio, e di questo adesso mi mangerei le mani, che una roba così invasiva non si può chiedere mai, ma io quello che volevo era tenerla con me, e alle speranze mi ci aggrappavo con tutta la (poca) forza che avevo. Egoismo truciolo.
Tutto inutile, tutto in merda. All'improvviso la madre ero io, e nel giro di sei mesi ho dovuto prendermi cura di un corpo che non era più il suo e di una persona che era un’altra, e la fatica più grossa è stato fingere di giorno di essere forte per starle vicino, e invece la notte cercare (inutilmente) di controllare il panico, il panico duro mentre vedevo che stava andandosene, il panico che da sola non ce l’avrei mai mai fatta. E il dolore, il dolore che non puoi farci niente, il dolore che non lo puoi arginare, il dolore che puoi solo sperare che almeno il suo finisca. Mia mamma è morta in meno di un anno, e io? Scrivi, scrivi Mathias, scrivi.

[*Dimmi, Mathias, piangi qualche volta la sera quando sei solo?
Il bambino dice:
Sono abituato a stare solo. Non piango mai, lo sai.
Sì, lo so. Ma non ridi neanche mai. Quando eri piccolo, ridevi sempre.
Doveva essere prima della morte di Yasmine.
Che dici, Mathias? Yasmine non è morta.
Sì. E’ morta. Lo so da molto tempo. Se no sarebbe già tornata.
Dopo un silenzio, Lucas dice:
Anche dopo la partenza di Yasmine ridevi ancora, Mathias.
Il bambino guarda il soffitto:
Sì, forse. Prima che lasciassimo la casa di nonna. Non avremmo dovuto lasciare la casa di nonna.
Lucas prende il viso del bambino fra le mani:
Forse hai ragione. Forse non avremmo dovuto lasciare la casa di nonna.
Il bambino chiude gli occhi, Lucas lo bacia sulla fronte:
Dormi bene, Mathias. E quando avrai troppa pena, troppo dolore, e se non ne vuoi parlare con nessuno, scrivi. Ti aiuterà.]
Agota Kristof, Trilogia della Città di K.

sabato 17 gennaio 2015

intermezzo (verso il capitolo 3)

IMPREVISTI (e probabilità)

  • la fettina di cetriolo nel panino
  • la millesimata che sa di tappo
  • l’attrazione fatale di spigolo e mignolo
  • la pasta scotta
  • la scheggia nel dito
  • il le faremo sapere, ma forse anche no
  • tagliarsi con le pagine di un libro bellissimo che non vedevi l’ora di leggere
  • il caffè balordo nel nuovo bar tutto da provare
  • lavare la macchina appena prima del temporale
  • correre correre correre, ma perdere l’aereo
  • arrivare puntualissimi, epperò incappar nell’overbooking.

Ho visto Le fate ignoranti di Özpetek tipo mille volte, forse di più, ma non mi ricordo mai se quando cade il bicchiere e si rompe (o no?) la persona importante ritorna da te (o no?), ad ogni modo, a onor di cronaca, va detto che esattamente tre mesi dopo la morte di mio papà, ho avuto a che fare con un bicchiere enorme.

lunedì 12 gennaio 2015

Capitolo 2| le parole delle volte non servono

Carver ha scritto che lui, le parole, lui non le tagliava semplicemente all'osso, ma al midollo, e io, sarà che son per l'essenziale, io secondo me ci sono delle situazioni che le parole non ci vorrebbero proprio. Appena è morto mio papà, ad esempio, più che il vuoto, io mi sentivo come quando si inceppa il meccanismo della vita normale, che mentre tutto va bene non ti rendi conto di quanto siano certe cose, poi invece, a non viverle più, dopo improvvisamente la loro assenza pesa come un macigno. 
Mio papà era un po' pazzo, tipo che siccome aveva la passione forte, un giorno aveva portato a casa un vecchio aereo su cui ci volava e l'aveva parcheggiato in giardino. Io dell'aereo mi ricordo: mia mamma che osserva un po' tesa l'arrivo di un tir e sviene non appena intravede l'ala (ha sempre avuto il terrore dell'aria), la gioia furbetta negli occhi di mio papà dinnanzi ai pellegrinaggi di pseudo piloti entusiasti dell'oggetto, la vergogna mia e di mio fratello ogni volta che, spiegando dove abitavamo, dovevamo confermare di non essere Maverick e Goose, ma di vivere effettivamente nella casa dell'hangar, il gatto talmente immedesimato nel barone rosso da dormire nottegiorno nell'abitacolo, la necessità di dover ancorare il mezzo non appena abbiamo capito che in caso di vento decollava in un attimo, e soprattutto, stigrancazzissimi edulcorati, la fatica di doverlo spostare tutti e quattro prima da una parte, poi dall'altra, ogni volta che c'era da tagliare l'erba (almeno una a settimana). 
Ecco, nei primi giorni di quel vuoto strano, io mi ricordo che quando qualcuno mi diceva devi essere forte e star vicino alla mamma, invece di rispondere pensavo sempre a questa situazione buffa qui, che secondo me faceva meglio.

giovedì 8 gennaio 2015

Il pregiudizio

Come quando uno entra in casa mia e pensa che la stella cinque punte che ho sul camino sia quella delle br, e allora mi guarda molto spaesato incredibilmente spaventato, e delle volte nemmeno si attenta a chiedermi niente. E io, spiegargli che quella è la stella marocchina che mi ha regalato tutto contento il fabbro della Medina, io dipende, io delle volte non glielo dico neanche. Però a leggere certi commenti, sarà che mi vien più facile pensare per immagini, a me è da ieri che viene in mente l'equivoco della stella, ma comunque, molto di francese cresciuta, fatta strafatta di arte, nonchè paladina della pirlata speziata, io garantisco che smettere di ridere mai.

ciaò

★ Dédicace : Charb - 10ème Salon du livre d'expression populaire et de critique sociale, Arras le 1er mai 2011 ★

In memoria delle vittime dell'attentato al Charlie Hebdo

martedì 6 gennaio 2015

capitolo 1| ci son dei sorrisi che sembrano limoni


Ci son dei sorrisi che sembrano limoni, e allora cosa vuoi da me? Che cosa vuoi sapere?
La prima volta stavo canticchiando il carrozzone mentre preparavo l'esame di iconologia, ancora adesso tutte le volte che l'ascolto ci penso a quanto sia mignotta la vita, che in un attimo ti travolge e bum, ti ritrovi mille pezzi a piangere sconfitta in giardino. Andiamo mica bene, forse ho un tumore. 
E io lì ferma, senza riuscire a dire niente, senza nemmeno respirare, lì a chiedermi sta capitando veramente a noi? Papà ma che dici? Ma no dai è impossibile. 
E invece la merda me lo ha portato via in un anno neanche, e invece me lo ha fatto soffrire fortissimo, e invece lo ha cambiato talmente tanto che a parte la rabbia, che non lo avevo mai visto così furioso con la vita, io tutt'oggi faccio molta fatica a ricordarmi com'era fisicamente prima di ammalarsi, che quest'altro papà la merda me lo ha scavato, gli ha tolto via tutto, gli ha lasciato solo nervi ossa e dolore, con un'aggressività che io la malattia l'ho odiata attimo per attimo con tutta me stessa, che guardare il dolore dritto negli occhi senza poterci fare niente, in un senso molto vasto terribilmente profondo, ti uccide dentro anche te.
Bisogna fare un agoaspirato, risulta benigno, ci siamo sbagliati è stronzo e affamato, e siccome il paziente è giovane è molto veloce e inoperabile, e poi la chemio, la radio, l'hospice, i chilometri e chilometri di ospedali io mio fratello e la mamma uniti tutti e quattro come sempre, io che gli dico ti voglio bene e corro a prendergli la morfina, l'ultimo bacino che brucia ancora tantissimo, e poi il male, il male cazzo, il male che dici va bene basta hai vinto tu, basta basta, basta che non me lo fai più soffrire rinuncio io hai vinto.
E nel giro di un anno ti ritrovi a lanciare nel cielo il palloncino che tu e tuo fratello gli avevate regalato per la festa del papà (odio i palloncini da allora), mentre uno sconosciuto ti aspetta in casa con un catalogo di bare e roba simile, che non te lo porteranno in vita mai mai più. Capisci come si è spento il mio limone?

sabato 3 gennaio 2015

che delle volte è questione di luce

Al parco, mentre il muso scorrazza, penso che ad annusare bene bene un po’ si sente già l’odore di primavera, ma che forse è tutta una questione di luce, perchè per la primavera in effetti è un po’ presto, ma siccome a me piace da matti, io per precauzione sta cosa me l’annuso tutta. E poi: che se fossi maschio le avrei regalato facciamo un gioco di Carrère, mica come questo tipo sulla panchina di fianco a me, che si vede benissimo che le ha appena regalato l’ennesimo libro di merda e improvvisato, che io le persone le associo ai libri solo quando ci sono dentro e a caso mai, che c’ho la lucidità intermittente e secondo me non c’è un’età che la ragione con la erre maiuscola arriva, ma nel caso mi sa che con l’inconscio l’ho mancata di proposito, che non capirò mai che cazzo c’avrà la gente da urlare e far l’applausino quando in discoteca o al ristorante o in qualsiasi altro posto va via (e torna) la luce, che delle volte più che partecipi siam dei participi (passati?), che ieri ho ordinato una agenda a Brooklyn e oggi ho scoperto che se va bene arriverà tra un mese e che no, ho rinunciato all’orologio, ma un mese senza agenda nelle tenebre non ci so stare, che sto scrivendo tutto di getto e chissà che penserebbe qualcuno ad analizzarla con logica psicologica ontologica etimologica e filologica la mia testa, ma a me come immagine adesso mi viene il prisma fighissimo che fa gli arcobaleni, e allora va bene così. Ora scusate, ma vado a recuperare il muso, prima che si attacchi con tutti i minibimbi del parco.

giovedì 1 gennaio 2015

Cicatrici


Il mio primo giorno dell'anno è iniziato con la telefonata dello psicologo che mi ha rimandato la seduta inesistente di domani. 
Quando l'ho attraversato è stato un'onda che non ce la fai nemmeno a respirare, dopo l'ho appena appena sbirciato e una paura che ti blocca completamente tutta, pelle nervi e cervello, poi però l'anestesia non ce l'ha più fatta a coprire, allora lo stimolo l'ho sentito fortissimo nella pancia e sempre di più, fino a quando respirone coraggio mi sono tuffata. 
L'ho guardato dritto negli occhi, ho dovuto rimuovere tutto il brutto pezzo per pezzo per fare la pace coi ricordi belli, ho respirato incubi, rabbia, ansie e un senso di immobilità che ogni tanto abbastanza spesso me lo chiedo come cazzo ho fatto ad attraversare questo periodo qua, ma comunque sussurratissimo io adesso l'ho fatto. Scrivere qui sopra le mie sensazioni cercando di trovarci un senso è stato ed è fondamentale, ma ora sento che è venuto il momento anche proprio di raccontarlo, che il vittimismo mai per carità, però se un po' lo capisci come maneggiarlo questo dolore qui, è giusto condividerlo con gli altri. Quest'anno non so ancora come e quando, ma voglio provare a fare questo. 
(ho avuto due genitori stupendi)