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martedì 18 agosto 2015

these days

"è stata la prima cosa che ho avuto, prima ancora che sapessi di cosa avrebbe parlato il film, sapevo solo che avrei avuto quella canzone, e che qualcuno avrebbe camminato al suo ritmo"

Wes Anderson 

martedì 24 febbraio 2015

siccome stasera piove

Ieri ho trovato un mio diario di un bel po' di tempo fa, che io scrivere sempre se no non ci salto fuori, però poi dopo mi scordo spesso, e a parte che avevo ricopiato tutta vivo, che è una canzone di Luca Barbarossa che infatti non mi ricordavo l'esistenza e dopo l'ho riascoltata tipo mille volte, ma la prima si è acceso il flipper e ho riso da matti ed è stato bellissimo, a parte questo c'erano un sacco di pagine su un tipo, che chiameremo ipoteticonvenzionalmente ABC, che ci uscivo e ci giravo e faceva un sacco di cose dolci per me e allora io guai e scrivevo ABC qua, ABC là, e secondo me gli volevo proprio bene, però dopo ieri a rileggere tutte ste cose, ieri dopo ho pensato ma io ho avuto un moroso che si chiamava ABC? Direi di sì, ho pensato, ma chi cazzo è ABC? e soprattutto, come ho fatto a scordarmelo così? Dopo poi ho detto il nome a voce alta e mi è tornato in mente, però siccome stasera piove, e la pioggia è stata inventata per farci sotto l'amore ne sono certa, io adesso ho pensato che di te non mi voglio scordare. E secondo me ce la faccio. 

(la canzone è questa: clic)

martedì 3 febbraio 2015

L'ultimo spettacolo



"Cercavo qualcosa che fosse diverso dalla canzone e dalla ballata. Cercavo una canzone teatrale ed epica, è giocata su un binario antico e uno moderno. Due partenze: una nave e un treno. La nave parte per portare questo poeta a cantare la guerra di Troia, il treno parte per portare via una donna. L'ispirazione è composita. Poeti greci come Kavafis, Seferis e un film bellissimo, "Mattatoio 5" di George Roy Hill, che univa più tempi di una situazione. Ci sono due modi per cambiare improvvisamente il tempo in questa canzone: la sigaretta Muratti e il binario per Torino. Da quel momento la canzone, che era tutta sull'antichità, diventa personale e sulla modernità, ma contempla due distacchi che sono comunque universali: quello del poeta che descrive la guerra di Troia e perde la sua donna, e quello di un cantautore che gira il mondo, oggi, per cantare, e perde anche lui la sua donna. Ecco perchè sono messi insieme. 
Non fu compresa perchè è molto complessa, piena di riferimenti culturali. Chi può capire il dolore di Achille sulle spoglie di Patroclo? Impossibile, anche perchè non si fanno nomi, è molto enigmatica e intensissima. Con folli salti melodici. Un po' alla Monteverdi, scusate il paragone, che cambiava continuamente melodia nei suoi madrigali. La parte antica usa gli archi, la parte moderna usa la batteria e le chitarre elettriche. "L'ultimo spettacolo" rappresenta la forza del destino che prevale su tutto."
Roberto Vecchioni

mercoledì 25 giugno 2014

L'effendi

"L'effendi è quel signore che consuma abitualmente una tazza di petrolio alle cinque del pomeriggio."
Rino Gaetano (clic)

mercoledì 11 giugno 2014

Non dirmi che hai paura

“Il viaggio dentro al container spalanca gli occhi sulla follia degli uomini. Dopo poche ore non ci sono più differenze di sesso. Uomini e donne sono uguali. Ci si riduce al comune denominatore. Di te resta solo l’ombra che chiede di sopravvivere. Non ricordi nemmeno più se sei donna o uomo. Dentro quel container forse c'era qualche cristiano etiope, ma la maggioranza era musulmana. Eppure non c'era donna con le gambe o la testa coperte. Tutto fuori, tutto esposto, perché non rimane più niente, se non quel corpo che ricordi essere tuo solo per alcuni particolari. Il neo che hai sulla coscia. Le dita storte dei piedi. La cicatrice sulla pancia. Sei tu. Ma anche non lo sei più, dispersa in mezzo ai vapori degli altri corpi. Quando lo sconosciuto ti sta di fianco non trattiene le feci, o quando non le trattieni tu, e continui a respirare e a navigare per giorni in quel puzzo nauseabondo senza acqua e senza cibo, non sai neanche più chi eri prima di entrare. L'immagine di mia madre il giorno del matrimonio di Hodan che mi tiene il viso tra le mani e con gli occhi gonfi di lacrime dice: "Sei bellissima, figlia mia. La più bella della famiglia". Il mio imbarazzo in mezzo a tutti quei veli colorati, all'hijab bianco che mi avvolge il capo e le spalle. La prima volta che mi sono vista femmina, sentita speciale. 
Forse non ero più nessuno. Forse ero sempre stata fatta della stessa materia dei sogni."


Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura, Feltrinelli 2014

[La storia di Samia Yusuf Omar è stata raccontata anche da Carlo Lucarelli ne "La tredicesima ora" del 30 maggio 2014 e secondo me, prima di lamentarci di tantissime cose, bisognerebbe conoscerla]

martedì 25 marzo 2014

Caravan



Caravan, nell'interpretazione del Duke, mi faceva sentire piacevolmente nell'illecito anche quando me ne stavo rannicchiato tra le lenzuola fresche di bucato di mia madre. Prima l'introduzione del tamtam, quindi il grande trombone fumoso che si levava ondeggiando dalla casbah e poi il flauto insinuante da incantatore di serpenti. Mendy la chiamava "musica da fartelo drizzare".
Philip Roth, Pastorale Americana

mercoledì 12 marzo 2014

kiss

 
Solo per dire che “First kiss” di Tatia Pilieva, secondo me, ha avuto un precedente straimportante, che poi è questo qui ed è di Andy Warhol (amen, limonatene tutti):
 

martedì 18 febbraio 2014

incontri

Giacometti #sculpture #giacometti
“A causa della strana luce che balenava tra le fronde dei terebinti - polverosa, giallastra, un po' scura e opaca - si era fermata un istante a guardarla e aveva pensato che a volte, la mattina, quando qualcuno ti viene incontro con il sole alle spalle che ti acceca, si riesce a distinguere solo il contorno del corpo, sottile come una figurina di Giacometti, che si dissolve e si ricompone passo dopo passo, ed è persino difficile capire se si tratta di un uomo o di una donna, se si avvicina o si allontana.”
David Grossmann, A un cerbiatto somiglia il mio amore, Mondadori.

giovedì 6 febbraio 2014

analogie

Luigi Ghirri<br />Parma, 1985<br />Cibachrome, 15&#160;3/4 x 20&#160;1/8 inches; 40 x 51
… il mondo visto non è lo stesso del mondo fotografato, così come il mondo d’un uomo che piange non è lo stesso d’un uomo che ride, e il mondo di chi abita un luogo non può essere lo stesso d’uno scienziato che manipola dei modelli in cui nessuno può abitare. Se ci sono analogie nei dettagli, passando dai dettagli ai diversi racconti complessivi, tutte le analogie diventano quasi illusorie.
Luigi Ghirri, Il profilo delle nuvole, testi di Gianni Celati, Feltrinelli.

giovedì 23 gennaio 2014

Letizia Battaglia, spiazzamenti

Letizia Battaglia
1993
“Lei è Rosaria Schifani, suo marito Vito è stato ammazzato, era una giovane guardia del corpo di Falcone. Si amavano, avevano un bambino piccolo e un futuro insieme. Quando è venuta a casa mia le ho chiesto di mettersi vicino alle persiane perché c’era una bella luce; mi guardò e io le dissi “chiudi gli occhi” e tutto diventò più essenziale e segreto. Perché faccio sempre chiudere gli occhi? Le donne che posano per me quasi sempre su mia richiesta chiudono gli occhi, io penso che ho un segreto dentro che io sconosco ma che è bene che rimanga dentro.”
tre donne, fotografia di Letizia Battaglia
2010
“non riesco a liberarmi dal dolore di storia della mia gente, della mia vita e della mia terra, con tutte queste corruzioni, mafie, morti ammazzati, dolore, sangue, povertà, droghe… Distruggere i miei negativi, bruciarli in riva al mare è veramente uno dei miei sogni ricorrenti. Ma non posso buttarli via, né cancellare del tutto quello che ho provato dentro di me, allora cerco di trasformare quest’esperienza passata – che mi ha segnato molto – in qualcosa che si proietti in un altro tempo, in quello presente. Scelgo il negativo del passato e lo stampo in un formato molto grande, tanto che la presenza femminile, o il fiore o la bambina che gli metto davanti gli si possa relazionare per dimensione. In genere scelgo il nudo femminile per contrapporre un presente vivo ad un passato di morte. Nella foto della copertina di questo mio ultimo libro*, mescolo tre creature: Marta con i suoi quattordici anni, in primo piano; dietro di lei, lo stupendo volto di marmo di Eleonora D’Aragona di Francesco Laurana, conservato al Museo Abatellis. E poi Rosaria Schifani, vedova dell’agente Vito, ucciso da Cosa Nostra insieme al giudice Giovanni Falcone.Tre donne, tre storie. La mia vita.”
*Giovanna Calvenzi, Letizia Battaglia: sulle ferite dei suoi sogni, Mondadori

lunedì 20 gennaio 2014

perdersi



“Fu un album dei Radiohead a far scattare qualcosa. Si intitolava Amnesiac. Il titolo si confaceva al mio destino, visto lo stato di amnesia sensoriale. Lo acquistai. Lo ascoltai e non provai nulla. Era l’effetto che ormai aveva su di me ogni genere di musica. Stavo quasi per alzare le spalle all’idea di essermi procurato altri sessanta minuti di niente quando cominciò la terza canzone, il cui titolo alludeva a una porta girevole. Una sequenza di suoni sconosciuti, distribuiti con parsimonia sospetta. Il motivo aveva un nome azzeccato, che ricostruiva l’attrazione assurda per le porte girevoli che hanno i bambini piccoli, incapaci, se vi si avventurano, di uscire dal loro cerchio. In teoria, non c’era nulla di commovente, ma mi stupii quando mi accorsi di avere una lacrima all’angolo dell’occhio.
Dipendeva dal fatto che non provavo niente da settimane? La reazione mi parve eccessiva. Il resto dell'album non suscitò in me altro che il vago stupore provocato da qualsiasi primo ascolto. Finito l’album, riprogrammai la traccia numero tre: cominciai a tremare in tutte le membra. Il mio corpo, folle di riconoscenza, si protendeva verso quella musica scarna, come se si trattasse di un’Opera italiana, tanto era profonda la sua gratitudine di uscire finalmente dal congelatore. Bloccai il tasto repeat affinché la magia continuasse a prodursi ad libitum.
Prigioniero appena liberato, mi abbandonai al godimento. Ero il bambino vittima della sua fascinazione per la porta girevole, ruotavo come una trottola in quel percorso circolare. Sembra che i decadenti cerchino la sregolatezza di tutti i sensi: quanto a me, ne avevo uno solo funzionante ma, attraverso quella breccia, mi inebriavo fino alle profondità più abissali della mia anima. Non si è mai così felici come quando si è scoperto il modo di perdersi.”

Amélie Nothomb, Diario di rondine, Voland

lunedì 6 gennaio 2014

quella foto è il suo talismano

Limonov
“Se attorno al 1970, nel più tetro grigiore dell’era brežneviana, c’è stato in Unione Sovietica qualcosa di simile al glamour, ebbene Eduard e Tanja ne sono stati l’incarnazione. C’è una foto in cui si vede Eduard in piedi, con i capelli lunghi, trionfante, e con addosso quella che lui chiama la sua «giacca da eroe nazionale» – un patchwork di centoquattordici pezzi variopinti che ha cucito lui stesso –, e ai suoi piedi Tanja, nuda, incantevole, gracile, con quei suoi piccoli seni sodi e leggeri che lo facevano impazzire. Quella foto Eduard l’ha sempre conservata, se l’è portata dietro dappertutto, e l’ha appesa come un’icona alla parete di ogni suo alloggio di fortuna. Quella foto è il suo talismano. Quella foto dice che, qualsiasi cosa accada, per quanto in basso possa cadere, un giorno lui è stato quell’uomo. E ha avuto quella donna.”
Emmanuel Carrère, Limonov, Adelphi

lunedì 30 dicembre 2013

animal spirit


(io pericolosa non lo sono mica tanto ahimè, nemmeno predatore, ma comunque, grazie a Mali Weil e alla mia adorata Chiera con la e, ora ho due calzari che non vedono l’ora di marcare il territorio con un’orma molto molto molto personale e soprattutto, come animal spirit, ho combattere, che per l’anno nuovo mi sembra una spinta perfetta.)

venerdì 27 dicembre 2013

Ragazza interrotta mentre suona

http://www.pinterest.com/pin/283726845249772741/
 
“Non uno, ma tre, sono i Vermeer al Frick. La prima volta che ci sono stata, però, non ho fatto caso agli altri due. Avevo diciassette anni ed ero a New York col mio insegnante d’inglese, che ancora non mi aveva baciata. Pensavo a quel bacio futuro, che sentivo avvicinarsi, quando mi lasciai alle spalle i Fragonard per entrare nella sala che porta al cortile: il corridoio buio dove i Vermeer risplendono sulla parete.
 
Oltre che al bacio, pensavo al diploma: me l’avrebbero dato se non passavo biologia per il secondo anno di fila? Ero sorpresa della mia bocciatura, perché la materia mi piaceva; mi piaceva anche la prima volta ch’ero stata bocciata. Il mio argomento preferito erano i diagrammi della recessività dei geni. Mi divertivo a elaborare la sequenza degli occhi azzurri in famiglie che non avevano altre caratteristiche all’infuori di occhi azzurri e occhi castani. La mia famiglia aveva un sacco di caratteristiche (successi, ambizioni, talenti, speranze) che in me sembravano tutte recessive.
 
Non mi fermai davanti alla signora in veste da camera gialla e alla domestica che le porta una lettera e neppure davanti al soldato con il cappello sfarzoso e alla ragazza che gli sorride; immaginavo calde labbra, occhi castani, occhi azzurri. Quegli occhi castani mi catturarono.
Lo sguardo della ragazza punta fuori dal riquadro del dipinto, ignorando il robusto maestro di musica, che poggia la dispotica mano sulla sedia. La luce è smorzata, luce invernale, ma il volto della ragazza è acceso.
 
La fissai negli occhi castani e indietreggiai. Mi stava mettendo in guardia da qualcosa: aveva distolto lo sguardo dalla sua occupazione per mettermi in guardia. La bocca era appena aperta, come se avesse appena respirato solo per dirmi: "Non farlo!"
Mi ritrassi, nel tentativo di tenermi fuori dal raggio della sua premura, che tuttavia riempiva il corridoio. "Aspetta", diceva. "Aspetta! Non andare!"
 
Non l’ascoltai. Andai a cena col mio insegnante d’inglese, e lui mi baciò, e io tornai a Cambridge e andai male in biologia, ma mi diplomai lo stesso e, per finire, impazzii.
Sedici anni dopo ero a New York col mio nuovo, ricco fidanzato. Facevamo molti viaggi, che pagava lui, anche se spendere lo metteva in agitazione. Spesso, durante i nostri viaggi, criticava il mio carattere: disturbato, così lo avevano diagnosticato in passato. A volte ero troppo emotiva, altre troppo distaccata e sentenziosa. Qualunque cosa dicesse, ero pronta a consolarlo, dicendogli che faceva bene a spendere. Allora lui smetteva di criticarmi, il che voleva dire che potevamo rimanere insieme e ricominciare la tiritera al prossimo viaggio.
Era una bella giornata di ottobre a New York. Lui mi aveva criticata, io l’avevo consolato, e adesso eravamo pronti per uscire.
 
"Andiamo al Frick", disse lui.
"Non ci sono mai stata", feci io. Poi pensai che forse c’ero stata. Non dissi niente, avevo imparato a non parlare dei miei dubbi.
Arrivati lì, lo riconobbi. "Ah", dissi. "Qui c’è un quadro che mi piace."
"Solo uno?" disse lui. "Guarda questi Fragonard." Non mi piacevano. Mi lasciai i Fragonard alle spalle ed entrai nella sala che porta al cortile.
 
Lei era cambiata molto in sedici anni. Non era più premurosa. Anzi, era triste. Era giovane e distratta, e il suo maestro la incalzava perché gli prestasse attenzione. Ma lei guardava lontano, alla ricerca di uno sguardo che incontrasse il suo.
Stavolta lessi il titolo del quadro: Ragazza interrotta mentre suona.
Interrotta mentre suona: com’era stata la mia vita, interrotta nella musica dei miei diciassette anni, com’era stata la sua vita, strappata e fissata su tela: un momento reso immobile, per tutti gli altri momenti, qualsiasi cosa fossero o avrebbero potuto essere. Quale vita può guarirne?
 
Adesso avevo qualcosa da dirle. "Ti vedo", dissi. Il mio fidanzato mi trovò che piangevo nel corridoio. "Cos’è successo?" domandò.
"Ma non vedi, lei sta cercando di venirne fuori", dissi, indicandola.
Guardò il quadro, guardò me, e disse: "Non fai che pensare a te stessa. Non capisci niente di arte". Si allontanò per guardare un Rembrandt.
Da allora sono tornata al Frick, per guardare lei e gli altri due Vermeer. Dopotutto, i Vermeer sono difficili da trovare, e quello di Boston è stato rubato.
 
Gli altri due quadri sono autosufficienti. I personaggi si guardano l’un l’altro: la signora e la domestica, il soldato e la sua innamorata. Vederli è come sbirciare attraverso un buco in una parete. E la parete è fatta di luce: quella luce di Vermeer del tutto credibile eppure irreale.
Una luce così non esiste, ma vorremmo che ci fosse. Vorremmo un sole che ci rendesse giovani e belli, vorremmo vestiti che scintillano e s’increspano sulla pelle, vorremmo soprattutto che un nostro sguardo bastasse a ravvivare tutti quelli che conosciamo, come succede alla domestica con la lettera e al soldato col cappello.
La ragazza che suona posa in un altro genere di luce, l’intermittente, minacciosa luce della vita, che ci fa vedere noi stessi e gli altri solo in modo imperfetto, e assai di rado.”

Susanna Kaysen, La ragazza interrotta.

lunedì 16 dicembre 2013

la mula di Parenzo

Hemingway, prima di spararsi, le sue ultime parole sono state un canto popolare che aveva imparato dalla Pivano a Cortina, un canto che anche quando si sentiva perseguitato e non c’era niente di facile lui lo cantava e stava meglio, un canto che  dopo io non lo so come sia possibile, nessuno poteva sapere, ma questo canto è diventato di un popolare diverso, un canto che insomma, è diventato questo canto qui:

mercoledì 11 dicembre 2013

tu chi? (Effetto notte)























Paolo Nori, I Malcontenti.
La canzone di quello del sigaro è Effetto notte, che poi è questa qui.