venerdì 27 dicembre 2013

Ragazza interrotta mentre suona

http://www.pinterest.com/pin/283726845249772741/
 
“Non uno, ma tre, sono i Vermeer al Frick. La prima volta che ci sono stata, però, non ho fatto caso agli altri due. Avevo diciassette anni ed ero a New York col mio insegnante d’inglese, che ancora non mi aveva baciata. Pensavo a quel bacio futuro, che sentivo avvicinarsi, quando mi lasciai alle spalle i Fragonard per entrare nella sala che porta al cortile: il corridoio buio dove i Vermeer risplendono sulla parete.
 
Oltre che al bacio, pensavo al diploma: me l’avrebbero dato se non passavo biologia per il secondo anno di fila? Ero sorpresa della mia bocciatura, perché la materia mi piaceva; mi piaceva anche la prima volta ch’ero stata bocciata. Il mio argomento preferito erano i diagrammi della recessività dei geni. Mi divertivo a elaborare la sequenza degli occhi azzurri in famiglie che non avevano altre caratteristiche all’infuori di occhi azzurri e occhi castani. La mia famiglia aveva un sacco di caratteristiche (successi, ambizioni, talenti, speranze) che in me sembravano tutte recessive.
 
Non mi fermai davanti alla signora in veste da camera gialla e alla domestica che le porta una lettera e neppure davanti al soldato con il cappello sfarzoso e alla ragazza che gli sorride; immaginavo calde labbra, occhi castani, occhi azzurri. Quegli occhi castani mi catturarono.
Lo sguardo della ragazza punta fuori dal riquadro del dipinto, ignorando il robusto maestro di musica, che poggia la dispotica mano sulla sedia. La luce è smorzata, luce invernale, ma il volto della ragazza è acceso.
 
La fissai negli occhi castani e indietreggiai. Mi stava mettendo in guardia da qualcosa: aveva distolto lo sguardo dalla sua occupazione per mettermi in guardia. La bocca era appena aperta, come se avesse appena respirato solo per dirmi: "Non farlo!"
Mi ritrassi, nel tentativo di tenermi fuori dal raggio della sua premura, che tuttavia riempiva il corridoio. "Aspetta", diceva. "Aspetta! Non andare!"
 
Non l’ascoltai. Andai a cena col mio insegnante d’inglese, e lui mi baciò, e io tornai a Cambridge e andai male in biologia, ma mi diplomai lo stesso e, per finire, impazzii.
Sedici anni dopo ero a New York col mio nuovo, ricco fidanzato. Facevamo molti viaggi, che pagava lui, anche se spendere lo metteva in agitazione. Spesso, durante i nostri viaggi, criticava il mio carattere: disturbato, così lo avevano diagnosticato in passato. A volte ero troppo emotiva, altre troppo distaccata e sentenziosa. Qualunque cosa dicesse, ero pronta a consolarlo, dicendogli che faceva bene a spendere. Allora lui smetteva di criticarmi, il che voleva dire che potevamo rimanere insieme e ricominciare la tiritera al prossimo viaggio.
Era una bella giornata di ottobre a New York. Lui mi aveva criticata, io l’avevo consolato, e adesso eravamo pronti per uscire.
 
"Andiamo al Frick", disse lui.
"Non ci sono mai stata", feci io. Poi pensai che forse c’ero stata. Non dissi niente, avevo imparato a non parlare dei miei dubbi.
Arrivati lì, lo riconobbi. "Ah", dissi. "Qui c’è un quadro che mi piace."
"Solo uno?" disse lui. "Guarda questi Fragonard." Non mi piacevano. Mi lasciai i Fragonard alle spalle ed entrai nella sala che porta al cortile.
 
Lei era cambiata molto in sedici anni. Non era più premurosa. Anzi, era triste. Era giovane e distratta, e il suo maestro la incalzava perché gli prestasse attenzione. Ma lei guardava lontano, alla ricerca di uno sguardo che incontrasse il suo.
Stavolta lessi il titolo del quadro: Ragazza interrotta mentre suona.
Interrotta mentre suona: com’era stata la mia vita, interrotta nella musica dei miei diciassette anni, com’era stata la sua vita, strappata e fissata su tela: un momento reso immobile, per tutti gli altri momenti, qualsiasi cosa fossero o avrebbero potuto essere. Quale vita può guarirne?
 
Adesso avevo qualcosa da dirle. "Ti vedo", dissi. Il mio fidanzato mi trovò che piangevo nel corridoio. "Cos’è successo?" domandò.
"Ma non vedi, lei sta cercando di venirne fuori", dissi, indicandola.
Guardò il quadro, guardò me, e disse: "Non fai che pensare a te stessa. Non capisci niente di arte". Si allontanò per guardare un Rembrandt.
Da allora sono tornata al Frick, per guardare lei e gli altri due Vermeer. Dopotutto, i Vermeer sono difficili da trovare, e quello di Boston è stato rubato.
 
Gli altri due quadri sono autosufficienti. I personaggi si guardano l’un l’altro: la signora e la domestica, il soldato e la sua innamorata. Vederli è come sbirciare attraverso un buco in una parete. E la parete è fatta di luce: quella luce di Vermeer del tutto credibile eppure irreale.
Una luce così non esiste, ma vorremmo che ci fosse. Vorremmo un sole che ci rendesse giovani e belli, vorremmo vestiti che scintillano e s’increspano sulla pelle, vorremmo soprattutto che un nostro sguardo bastasse a ravvivare tutti quelli che conosciamo, come succede alla domestica con la lettera e al soldato col cappello.
La ragazza che suona posa in un altro genere di luce, l’intermittente, minacciosa luce della vita, che ci fa vedere noi stessi e gli altri solo in modo imperfetto, e assai di rado.”

Susanna Kaysen, La ragazza interrotta.

Nessun commento:

Posta un commento