Le aveva detto (a bassissima voce) l'aveva supplicata sta zitta ti prego, il registratore sta registrando dalla radio non far rumore lo sai che ci tengo, sta registrando Re Arturo di Purcell, bellissimo, puro. Ma lei dispettosa menefreghista carogna su e giù con i tacchi secchi per il solo gusto di farlo imbestialire e poi si schiariva la voce e poi tossiva (apposta) e poi ridacchiava da sola e accendeva il fiammifero in modo da ottenere il massimo rumore e poi ancora a passi risentiti su e giù proterva, e intanto Purcell Mozart Bach Palestrina i puri e divini cantavano inutilmente, lei miserabile pulce pidocchio angustia della vita, così non era possibile durare.
E adesso, dopo tanto tempo, egli fa andare il vecchio tormentato nastro, torna il maestro, il sommo, torna Purcell Mozart Bach Palestrina.
Lei non c'è più, se ne è andata, lo ha lasciato, ha preferito lasciarlo, lui non sa neppure vagamente dove sia andata a finire.
Ecco Purcell Mozart Bach Palestrina suonano suonano stupidissimi maledetti nauseabondi.
Quel ticchettìo su e giù, quei tacchi, quelle risatine (la seconda specialmente), quel raschio in gola, la tosse. Questa sì, musica divina.
Lui ascolta. Sotto la luce della lampada, seduto, ascolta. Pietrificato sulla vecchia sfondata poltrona, egli ascolta. Senza muovere menomamente alcuna delle sue membra, siede ascoltando: quei rumori, quei versi, quella tosse, quei suoni adorati, supremi. Che non esistono più, non esisteranno mai più.
(Dino Buzzati, Il registratore in "Le notti difficili", Mondadori 1971)
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