“Il viaggio dentro al container spalanca gli occhi sulla follia degli uomini. Dopo poche ore non ci sono più differenze di sesso. Uomini e donne sono uguali. Ci si riduce al comune denominatore. Di te resta solo l’ombra che chiede di sopravvivere. Non ricordi nemmeno più se sei donna o uomo. Dentro quel container forse c'era qualche cristiano etiope, ma la maggioranza era musulmana. Eppure non c'era donna con le gambe o la testa coperte. Tutto fuori, tutto esposto, perché non rimane più niente, se non quel corpo che ricordi essere tuo solo per alcuni particolari. Il neo che hai sulla coscia. Le dita storte dei piedi. La cicatrice sulla pancia. Sei tu. Ma anche non lo sei più, dispersa in mezzo ai vapori degli altri corpi. Quando lo sconosciuto ti sta di fianco non trattiene le feci, o quando non le trattieni tu, e continui a respirare e a navigare per giorni in quel puzzo nauseabondo senza acqua e senza cibo, non sai neanche più chi eri prima di entrare. L'immagine di mia madre il giorno del matrimonio di Hodan che mi tiene il viso tra le mani e con gli occhi gonfi di lacrime dice: "Sei bellissima, figlia mia. La più bella della famiglia". Il mio imbarazzo in mezzo a tutti quei veli colorati, all'hijab bianco che mi avvolge il capo e le spalle. La prima volta che mi sono vista femmina, sentita speciale.
Forse non ero più nessuno. Forse ero sempre stata fatta della stessa materia dei sogni."
Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura, Feltrinelli 2014
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