Io ci sono cresciuta con Favole al telefono. E già prima di
imparare a leggere mi immaginavo il Ragionier Bianchi, Giovannino Perdigiorno,
Alice Cascherina ed il palazzo di gelato di Bologna.
E il 21 marzo penso sempre
che tutti dovrebbero farsi un bel giro sul filobus numero 75, fermarsi e
convincersi che il primo giorno di primavera tutto è possibile.
Solo che qui è
arrivata la prima nebbia e camminando al parco, non solo ho pensato quanto sia
lontana la primavera, ma che ormai le favole al telefono non si raccontano più.
Ho incontrato tante sagome grigiastre, tutte urlavano di corsa al loro
interlocutore immaginario i propri guai animo-sentimentali-lavorativi,
addirittura dettavano la lista della spesa, ma nessuna favola. E
me le sono immaginate a cena stasera con il loro telefono, pronte a fotografare
amici e cibo, magari aspettando che si faccia viva la persona che a quella cena
non c’è ma nella testa sì, ma totalmente impreparate a ricevere, alle 9 in punto,
una telefonata capace di far viaggiare con la fantasia. Una telefonata alla
Rodari, da ascoltare ed immaginare, capace di incuriosire con il senso del non
senso e di far scoprire quanto sia ancora possibile rendere la vita un gioco,
liberandola dalle inibizioni. Sarebbe una grande sorpresa. Perchè la capacità di
fermarsi un attimo e riuscire ancora a stupirsi di un semaforo
blu o di un topo e un gatto da fumetti che si abbracciano capendosi a
meraviglia, è una di quelle cose che crea con un’altra persona un legame di
testa indissolubile. A qualsiasi età.
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