Ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale, questo racconto è frutto dell'immaginazione malata di una fagiana bruciata e scottata dal sole.
Partiamo dalla fine.
La protagonista butta nel lavandino un vino di merda provenzale rosato, vino da taglio da turista ignorante decisamente imbevibile, vino da bestemmia, in pratica. Mentre si versa del solido vermentino nel calice, noi le vediamo una lacrima sulla guancia, ma facciamo finta di niente e guardiamo fuori dalla finestra il tramonto insieme a lei.
Lei non parla, sospira. Hai perdonato quando testa pancia e cuore pensano allo stesso modo, si dice, ma è troppo presto anche solo per pensare. Ha come un blocco e l'ombelico che urla, non ce la fa.
Indietro ancora.
Lui è partito e non l'ha messa in valigia, non le ha nemmeno chiesto come stava, lui è sparito, da un giorno all'altro. Peggio dei cani che si abbandonano in autostrada d'estate. Cani che lei salva, peraltro, lui invece non lo vuole più.
Lei poteva chiedere spiegazioni, è vero, ma non lo farebbe mai. Si chiede invece se quello che sente è l'odio, pensa che sto pirla fa pure meditazione e poi calpesta le persone manco fossero merde, sta male per la delusione di aver condiviso se stessa e un libro mai letto, ma inutile, non ce la fa proprio a volergli male, gli augura pure di trovare finalmente la sua strada (agli egoisti del resto va sempre bene), però sotto sotto lo sa, quando sarà tutto stabilizzato e normale, lo sa che arriverà il momento in cui lui si accorgerà del vuoto.
Un vuoto che schiaccia e trita dentro molto peggio di un minipimer. E in quel momento, probabilmente di sera, con delle stelle che sembreranno limoni riflesse sul suo cazzo di mare, lui, nella sua stanza gelata, penserà che la vera assenza non si potrà mai colmare con un vino da taglio.
(immagine ispirata da compagni di viaggio | de Gregori)
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