“Io e il mio cuore non siamo mai vissuti fino a maggio, e nella mia vita passata c'è solo il centesimo aprile.”
Vladimir Majakovskij, La Nuvola in calzoni
[io, però, per me, io dico proviamo]
“Io e il mio cuore non siamo mai vissuti fino a maggio, e nella mia vita passata c'è solo il centesimo aprile.”
Vladimir Majakovskij, La Nuvola in calzoni
[io, però, per me, io dico proviamo]
Bologna, 28 gennaio 1975
Ciao bella
Sto fumando una sigaretta, ho appena finito di pranzare, e sto battendo a macchina questa nella stanza di Nicola e Robby, poiché Gino, dopo una notte insonne, non si è ancora svegliato.
Mezz'ora fa, aggrappato ad un telefono in un bar, ti parlavo.
Odio il telefono.
E' uno strumento freddo e distante, incapace a far trasparire il benché minimo sentimento, ed assolutamente inadatto come mezzo di augurio.
E i miei, stamane, volevano essere i più sinceri possibili, non solo in apparenza ma perché realmente tali.
Ti scrivo questa di getto, usando le copertine di alcune dispense di regia, perciò scusa gli eventuali errori e l'evidente ineleganza strutturale.
Ho provato diverse volte a scriverti, ma in tutti i tentativi il bisogno di originalità e l'assoluta mancanza di idee mi hanno sempre fregato, costringendomi ad appallottolare il foglio dopo due righe e a gettarlo nel cestino già colmo.
Odio il telefono.
Ciao come stai?
Bene grazie, e tu?
Anch'io bene, grazie.
Ciao, come stai? Cosa si può rispondere in un telefono con quindici gettoni dentro, col tempo contato, mentre il cuore ti scoppia dalla gioia di parlarti e lotti per non darlo a vedere, e il giradischi o la radio sono a tutto volume e il locale è pieno di gente?
Bene grazie.
Non ti puoi mica mettere a urlare che mangi riso al burro da due giorni, a pranzo e a cena, che non vedi una bistecca da una settimana, e che ti sembra di star bene solo perché non stai peggio degli altri studenti, che più o meno vivono come te.
Non puoi mica urlare nella cornetta che sei stanco di non far niente, stanco delle nottate passate in luoghi fumosi, in cinema di terza, a giocare a carte, a leggere Godard, a sognare Pescara, a frequentare ragazze nottambule e senza scrupoli, a disegnare con rabbia e senza voglia, a giocare a pallone in un campetto male illuminato, a studiare "PHOTOGRAPH" seduto sulla tazza del cesso, ad aspettare autobus che non arrivano mai, ad inseguire donne misteriose sotto i portici, a misurare lo spessore della nebbia in piazza Maggiore, a frequentare cabaret sulla via del fallimento, quattro gatti e una chitarra, barzellette e canti cileni, bowling deserti, a bere cioccolate nei bar dell'ultima ora, a rompersi le palle nei cineforum, stasera giriamo le gallerie d'arte, c'è Emmanuelle, compriamo una bottiglia di Ballatine's o di Chivas Regal e tiriamo l'alba.
Come sto?
Sto che ne ho le tasche piene di disegnare ascoltando Supersonic, per voi giovani, Popoff, Stevie Wonder, Miles Davis, Alice Cooper, i Chicago, etc, non ne posso più di svegliarmi ogni giorno alle quattordici, se tutto va bene, la stufona non ha perso gas e sono morto, o se non apro gli occhi su un cielo già maledettamente stellato.
Cosa posso dire per telefono?
Che l'università forse funziona, ma io non posso dirlo perché non ci vado mai?
Che sono di nuovo impelagato nella politica, che passo ore a sfidare sconosciuti a ping pong nel circolo studentesco, che vorrei piangere al pensiero della pila inverosimile di piatti che mi aspetta appena finita questa lettera?
Come va?
A cazzo di cane, ecco come va.
Sono un’artista vero Isa?, e non posso per questo permettermi il lusso di essere volgare. Ma io me ne frego di essere un'artista, se poi non posso dire ciò che penso sino in fondo!
Se l'essere un’artista, ammesso che io lo sia, e nutro dubbi in proposito, deve condizionarmi, ebbene io non sono un'artista, sono uno studentaccio volgare, scurrile, triviale, meridionale e cafardo!
E porca Eva, che vita di merda!
A Pescara, almeno, non mangiavo nemmeno lì tanto, anzi facevo la fame, ma mi sentivo più pulito, dentro e fuori, qui con una doccia al giorno riesco sì e no a grattarmi via un'oncia di smog, e per pulirmi "dentro" non basterebbe una fabbrica di detersivi.
Ragazzone DAMSiste con i capelli sporchi e tampax grossi così sotto i jeans, che sembra abbiano l’uccello al posto della fica, omosessuali musicisti, maoisti pazzi e sconcertanti nelle loro pretese, ecco con chi ho giornalmente a che fare.
Sono stato a cercare di mettere un po' d'ordine nel collettivo di facoltà, secondo le nuove ristrutturazioni ideologiche attuate da Mao durante la rivoluzione culturale, posso farlo essendo rappresentante del Vento Rosso, e mi hanno preso per REAZIONARIO solo perché il fare sciopero per aiutare i postelegrafonici di Modena non credevo potesse servire a noi del DAMS.
Manifesto, Lotta Continua, Marxisti-leninisti, Maoisti, Radicali e Comunisti qui nella rossa Bologna si scannano fra loro, invece che unirsi e combattere i Parlamentini.
Sono stato a sentire Venditti al Palasport e mi hanno accusato di scarsa intellettualità.
Chiedo loro chi era Schopenauer e non lo sanno!
Se Squarzina (regia) mi dice, dopo un'intervento, "osservazione esatta, bravo", faccio la figura del leccapiedi, e se vado un giorno in facoltà con le scarpe da tennis, tutti a dire: "toh, Andrea con le scarpe da tennis", lasciando facilmente intuire che una delle loro più importanti occupazioni sia il vedere e annotare con che paio di scarpe APAZ viene a scuola!
Ragazze con pellicce di lupo, borsa di Viton, loden da ottantamila lire, gonne di E. Laurent, e tipini in raiban a specchio, magliette Ritz in cachemire e Barrown, mi danno del provinciale se porto tutti i giorni lo stesso jean, a tubo, e gli scarponi.
Al diavolo.
Maledetto telefono.
Come stai?
Bene grazie...e tu?
Così Così (oppure bene, o male, o benissimo, o benissimo)
(o malissimo, o malissimo, oppure bene grazie)
Ti passo Sandra, vuoi parlare con Sandra?
Sì, grazie.
Saaaaaaaaannnnnnnndddddrrrrrrraaaaaa!!!!!
Ciao Sandra.
Ciao Andrea come stai?
Potrei star peggio, e tu?
Così così, ti ripasso Isabella.
Ciao Sandra.
Ciao Andrea.
Ciao Isabella.
Ciao Andrea.
Come va con Guido?
Bene, da un po' bene.
Meno male.
...
Auguri.
Grazie.
Ciao.
Ciao Andrea.
Ciao Isa.
Ciao.
Ciao.
CLICK.
Ed è la fine.
Fine della conversazione, della telefonata, dei gettoni.
Volevo dirti tante cose e non ti ho detto niente.
Vorrei tanto vederti e parlare con te, verrai a Pescara?
A Pescara, l’otto febbraio.
Porta tutti, se puoi, se loro possono e se volete.
Dillo anche a Nanni, credo di essergli amico.
OGGI, VENTOTTO FEBBRAIO MILLENOVECENTOSETTANTACINQUE, LA DOLCE ISABELLA COMPIE QUINDICI ANNI. AUGURI.
Andrea.
Vincenzo Agnetti, In principio era la negazione in attesa dello stupore, 1970 |
Pablo Picasso, The King of Minotaurs ,1958 |
Pablo Picasso wearing a cow’s head mask on beach, 1949 |
Ci son delle situazioni che è tutto talmente chiaro che a viverle le parole non servono neanche, poi però invece io, per me, io ci son anche dei buchi di sberle che non ci capisci proprio più niente e allora ti ritrovi a elemosinare anche solo una parola per capire lo scarabocchio atono nel quale sei finita. In mezzo dovrebbe esserci qualcosa, credo. Forse siamo noi i nostri muri peggiori e siccome non sappiamo se e come abbatterci preferiamo appassirci, forse la gente ha delle strane cerniere sulla pancia apri, ingoia, chiudi, getta, dimentica, forse la mia cerniera è difettosa, forse porcocazzo la vera cura del Battiato è questa fatica merdica che facciamo ogni giorno per stare bene, oppure forse siamo solo un equilibrio di strane sostanze chimiche e allora funziona tipo lo zucchero nel caffè, aggiungi togli aggiungi togli e poi risolvi. Mezza compressa al mattino per sette giorni, poi una, sempre al mattino, per due tre mesi, poi vediamo. Ma come la mettiamo col fatto che il caffè andrebbe sempre assaggiato dalla bocca di chi te lo zucchera? In mezzo dovrebbe esserci qualcosa, credo.
Non sarai neppure ricordo, e quando ti penserò, penserò un pensiero che oscuramente cerca di ricordarsi di te.
Julio Cortázar
Del fare l’amore mi piace che all’improvviso hai tutti i sensi più grandi e più vicini e non serve parlare, pensare o peggio ragionare, tutto esplode insieme a te e non esistono distanze, zero difese, paure o dubbi, quello è un momento bello bello che ti colora e non hai bisogno proprio di nient’altro, allora io, siccome oggi son dei giorni che vorrei scrivere un sacco di cose, ma appena ci provo mi si aggrovigliano i pensieri e mi blocco, io allora, a parte che ho letto che il dolore lacera gli occhi e invece secondo me il dolore te li cava, gli occhi, che come espressione penetra meglio, io a parte questo e al fatto che delle volte son strane, tipo che quando sento la parola diaspora mi vien sempre in mente la nespola, oppure son convinta di esser stata ad Avignone e di aver camminato lungo i portici con l’abito lungo, poi però siccome col lungo so mica camminarci un po’ di dubbi mi vengono sempre, io a parte tutte le altre stranezze varie ed eventuali, oggi io son dei giorni che penso che tutti dovremmo fare l’amore molto più spesso e in generale ogni volta che il resto diventa grigio e ci rimani male per tutto e per niente e ti deludono o ti sfracellano i maroni le persone più inaspettate tipo il postino, che a ragionare di meno e amare di più magari tutto il resto non si risolve, ma di sicuro le finte distanze si azzerano.
“La gente lo definiva istrionico ma non era vero: Lucio viveva la musica con così tanta compenetrazione che assumeva atteggiamenti spettacolari, ma perché era totalmente dentro la sua parte musicale. E’ come quando vedi un grande jazzista: non fa scena, la scena viene fuori perché sta soffiando dentro il sassofono. E Lucio quando cantava era impressionante. Lui si approcciava al canto in modo mai protocollare, mai diligente, era un eversore: Dalla se ne sbatteva tranquillamente i coglioni del protocollo musicale, del rullante, e mi sconvolgeva perché gli veniva tutto bellissimo lo stesso. Capire questa cosa per un musicista è molto importante”
Francesco De Gregori in questa bella intervista qui: clic