“L’ospedale era su una collina fuori città, proprio come gli ospedali nei film sui matti. Il nostro era famoso e aveva ospitato molti grandi poeti e cantanti. Era l’ospedale specializzato in poeti e cantanti, o erano poeti e cantanti specializzati in pazzia?
Ray Charles era l’ex paziente più famoso. Speravamo tutte che tornasse per farci la serenata dalla finestra del reparto tossicodipendenti. Mai venuto.
Però avevamo la famiglia Taylor. James era stato promosso a un altro ospedale prima del mio arrivo, ma Kate e Livingston c’erano ancora. In mancanza di Ray Charles, il loro blues nasale del North Carolina bastava già a rattristarci. Quando sei triste hai bisogno di sentire il tuo dolore fatto musica.
Neanche Robert Lowell venne mentre c’ero io. Sylvia Plath era venuta e andata via.
Ma cosa c’è in metro e cadenza e ritmo che fa impazzire chi li fa?
Il parco era grande e tenuto benissimo. Era anche incontaminato, dato che non ci permettevano quasi mai di passeggiarci. Di tanto in tanto, però, ce lo facevano attraversare per portarci a prendere il gelato, in occasione di un trattamento speciale.
Il gruppo aveva una struttura atomica: un nucleo di schizzate, circondate da nervose infermiere-elettroni saettanti incaricate di proteggerci. O di proteggere i residenti di Belmont da noi”
Susanna Kaysen, La ragazza interrotta
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