“Se uno rimane, se non se ne va, può sempre fermarsi una sera qualsiasi (meglio le mezze stagioni) in Piazza Grande e alzare lo sguardo verso la Potta. Così, per abitudine. Magari gli scappa l’occhio più in alto, e nel cielo un po’ afoso, nel blu affumicato della pianura, può esserci anche, tutta gialla, la luna. Grande come una forma di parmigiano, che ti sembra di poter prenderla in mano e mangiarla. È la luna di Modena, e qualche volta, se sei sul sentimentale, può anche venirti voglia di metterti a ululare: come un cane, come un matto, come un Ghizzardi. Sì, lo so che Ghizzardi e quel tale Ligabue erano matti speciali, sperduti in un pezzo d’Emilia che non si può chiamare Modena: eppure, la luna è la stessa, e lunatici, siamo lunatici uguali, dal Po fino a Zocca. Probabilmente con la malattia dell’organizzazione, del partito, del progresso, delle macchine, del metallo, delle acciaierie, e poi del software, dell’innovazione, della competitività sui più primari mercati. Ma la luna, eh già, quella luna lì, bisogna lasciarla stare, va’. Perché l’è così poetica, ma così poetica, così tanto poetica... C’è solo da stare attenti in quelle sere, guardando lassù, di non pestare una merda di cane, quaggiù.”
Edmondo Berselli, La luna di Modena lasciatela stare
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