Il gioco del silenzio non l’ho mai capito. Da sempre.
All’asilo ci facevano fare la pausa per dormire e per me era quello il gioco, non passarsi zitti zitti un gessetto, comunque mai partecipato a nessuno dei due, preferivo starmene in un’altra stanza con il gessetto a disegnare.
Anche a scuola silenzio mai e la bocca che tacendo disse taci non è mai pervenuta.
Ora le cose non sono cambiate, a me parlare piace proprio, vivo di parole, sono fermamente convinta che domandare sia lecito e rispondere non sia semplicemente cortesia, ma anche un dovere nei confronti dell’altro interlocutore, che se pone domande intelligenti ed evidentemente non ha capito qualcosa in un ragionamento, si merita tutte le spiegazioni possibili.
Chiamatemi logorroica, esagerata, ma a me non me ne frega niente di essere una schiappa nel gioco del silenzio, anzi, non mi interessa proprio giocare con chi non ama condividere e scambiare opinioni con gli altri, che se tutti fossimo sempre zitti, calmi calmi musica mai, sempre dentro le righe, vuoi mettere la noia?
E poi, l’unico vero gioco del silenzio che andrebbe fatto, secondo me, è quello tra sè e sè per capirsi e migliorarsi dentro, e a questo gioco qui, che forse bisognerebbe chiamare gioco del pensiero o del conoscersi, ci gioco tutti i giorni cercando in tutti i modi di non coinvolgere gli altri nei miei problemi e garantisco che è molto più difficile dell’altro, tutto un altro livello, perchè si sa, quando cade la tristezza in fondo al cuore come la neve non fa rumore.
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