"A tre, quattro anni mio padre mi insegnò a cadere. Mentre camminavo, ignara, mi piazzava entrambe le mani sulle spalle e mi dava spintoni violenti. Ricordo benissimo la prima volta, la perdita dell’equilibrio. Il labbro che si spacca contro l’asfalto, il sapore del sangue in bocca, l’odore del catrame, i cristalli lucidi e neri che si incastonano nelle ginocchia, i pianti: devi mettere avanti le mani, mi diceva, e via ricominciava, come mi tiravo in piedi altro spintone, altro ruzzolo per terra: ho imparato a cadere e rialzarmi, e a non fidarmi mai di nessuno. Quando l’Altro mi diceva di aver paura di me – tu non hai pietà di nessuno, mi diceva – io restavo zitta aspettavo che si alzasse e se ne andasse via: soltanto quando la porta era ormai chiusa alle sue spalle mi concedevo di dire a voce alta: nessuno l’ha mai avuta di me."
(da "Grande Era Onirica" Marta Zura-Puntaroni)
Nessun commento:
Posta un commento