“Quello che c’è di bello sugli autobus è che l’idea di scendere ti sembra la conquista della felicità. Schiacciata in fondo, con la spalla di quello davanti che sembra la continuazione del mio mento, i libri (anzi il libro - l’ultimo Chandler - più il quaderno, un quaderno a quadretti) che non cadono solo perché non saprebbero dove cadere, i capelli impigliati nella cuffia come se non me la levassi da due mesi. E poi le facce: otto facce di studenti tipo - dove-hai-passato-le-vacanze, lavati e già annoiati. Sicuramente frigidi: si vede dalla peluria sopra le labbra. Fetenti di caffelatte riscaldato, denti cariati, acidi di sonno, coi jeans stirati perché è il primo giorno di scuola e «visto che vuoi andare vestito a quel modo, almeno che abbiano la piega». Salgono due ragazzine senza culo: quarta ginnasio?
Sembra che tutto il settore schiacciami-contro-il-vetro dell’autobus sia studentizzato, giuro che se sento un altro parlare di comprare libri al mercato dell’usato gli mordo la ciccia delle cosce.
Sembra che tutto il settore schiacciami-contro-il-vetro dell’autobus sia studentizzato, giuro che se sento un altro parlare di comprare libri al mercato dell’usato gli mordo la ciccia delle cosce.
C’è un solo vero cittadino adulto con un sorriso idiota, tipo revival, la giacca cascante e due dita strette attorno al biglietto come se fosse una farfalla. Credo che stia pensando cose tipo “beati loro” (noi), tutto intenerito dall’inquinamento sonoro da primo giorno di scuola. Questi schiamazzi disorganizzati gli sembrano garruli e lieti, tutto questo putiferio di dita nel naso, mani sudanti su quaderni chiusi, dita unte su pizze bianche, ricordi estivi carichi di bugie confidenziali e inconsistenti timori per l’inverno gli sembrano, a questo becero in brache di tela, la poesia dell’adolescenza o qualche stronzata del genere. È evidente che ci guarda senza vederci. Ci considera una specie di stagione. Un sostantivo collettivo, con la maiuscola. Sta rivivendo la prosa del discorso inaugurale del presidente Leone. A vederlo così convinto che il mondo al tre di ottobre va per il suo verso mi viene voglia di urlare. Ma che ti credi, che sia divertente alzarsi una mattina e sapere che cosa farai per le 326 mattine seguenti? Adesso gli metto addosso due occhi d’odio profondo e vediamo se scende da cavallo. Non sono un topino bianco. Non mi si può fissare impunemente. Io quando mi sento sull’orlo di una crisi di identità, in genere faccio qualcosa. Agisco. Mi spacco la faccia in un sorriso ammiccante (sì, guardo proprio te, cretino. Tu guardi me come il particolare di un affresco dal titolo provvisorio Primo giorno di scuola. Io guardo te come un individuo caduto da un albero).
Trent’anni, faccia lunga, giacca da barbone e nessun diritto di stare su quest’autobus di dolore che mena a scuola, pensando “quant’era bello quando anch’io andavo al macello”.
Nell’alternarsi aritmico degli scossoni, siamo già vicini. Non sei brutto, ma puzzi un po’ di chiuso, hai gli angoli della bocca rancidi e i baffi macchiati in punta. Guarda: inutile che fai finta di non aver notato la manovra. (Se trattengo il fiato e tiro indietro le spalle, forse ce la faccio a far saltare un bottone). Tiro un sospiro e passo e ripasso con la punta della lingua sul labbro superiore (troppo scoperta?). Al prossimo semaforo avrà le palle più o meno contro la copertina del quaderno.
Trent’anni, faccia lunga, giacca da barbone e nessun diritto di stare su quest’autobus di dolore che mena a scuola, pensando “quant’era bello quando anch’io andavo al macello”.
Nell’alternarsi aritmico degli scossoni, siamo già vicini. Non sei brutto, ma puzzi un po’ di chiuso, hai gli angoli della bocca rancidi e i baffi macchiati in punta. Guarda: inutile che fai finta di non aver notato la manovra. (Se trattengo il fiato e tiro indietro le spalle, forse ce la faccio a far saltare un bottone). Tiro un sospiro e passo e ripasso con la punta della lingua sul labbro superiore (troppo scoperta?). Al prossimo semaforo avrà le palle più o meno contro la copertina del quaderno.
Ebbene sì, caro, hai davanti a te un simbolo del sesso. Soda come un uovo sodo. Bionda come nei libri. Avrò ancora capelli quando tu sarai già ridotto a trapiantarti i peli del cazzo sopra le orecchie. Stan più ritti i miei seni delle tue erezioni. Niente. Però non distoglie gli occhi, e neanch’io e mi lacrima il rimmel e la cosa comincia a farsi eccitante. Mancano tre fermate. Allora, se scendo e mi segue, non vado a scuola. Se non mi segue, piglio l’autobus che viene dopo. Ultima occhiata: con la coda come le comete.
È sceso e sento i suoi passi dietro sul selciato. Tra me e lui due palmi d’aria. Non mi spavento solo perché l’ho voluto io: è come levarsi i denti da soli, con il cordino e il portone. Sanguina e non sai come andrà a finire, ma sempre meglio che andare dal dentista.
Non so che direzione prendere, ma bisogna sbloccare la situazione: se mi fermo e si ferma anche lui, vuoi dire che mi segue proprio: Mi segue proprio.”
È sceso e sento i suoi passi dietro sul selciato. Tra me e lui due palmi d’aria. Non mi spavento solo perché l’ho voluto io: è come levarsi i denti da soli, con il cordino e il portone. Sanguina e non sai come andrà a finire, ma sempre meglio che andare dal dentista.
Non so che direzione prendere, ma bisogna sbloccare la situazione: se mi fermo e si ferma anche lui, vuoi dire che mi segue proprio: Mi segue proprio.”
Antonia, Porci con le ali
(Oggi a passare davanti alle scuole mi è troppo venuto in mente)
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